Immigrazione: dalle proteste alle proposte

Il bilancio, per ora, è di 366 vittime. Non sono le prime, non sono le ultime. Tutti sapevamo che la gente nel mediterraneo moriva, tutti ne portiamo le colpe. Ieri i funerali con le contestazioni. Certo c'è chi ha più colpe di altri (chi ha responsabilità politiche nelle pessime leggi che hanno creato queste situazioni), però ognuno di noi ne ha. Adesso però occorre fare delle proposte concrete che non passino insieme all'ondata emotiva. Occorre che ognuno di noi si assuma la responsabilità per realizzare qualcosa che serva realmente.
Partiamo da come stanno le cose:
1. Chi fugge non lo fermiamo alzando steccati, tantomeno hanno senso le preoccupazioni che migliorare l'accoglienza possa essere un invito indiretto ai migranti per venire in Italia. Chi parla con i migranti sa che molti di loro non sapevano neanche di essere diretti in Italia, per loro l'Europa in generale è l'obiettivo. E' vero che con internet le comunicazioni sono migliorate, ma non c'è il pericolo che chi parte sia informato su questa o quell'altra legislazione.
2. Si fanno distinzioni tra migranti economici e richiedenti asilo. Non è detto che la realtà si possa tagliare in due così nettamente, le distinzioni manichee tra buoni e cattivi non portano lontano. Tuttavia i richiedenti asilo hanno leggi di tutela più chiare e se già iniziassimo a migliorare la loro condizione sarebbe un buon punto di partenza.
3. Si sente dire che occorre "proteggere" le frontiere, etc. E' su questo che vogliamo che l'Europa ci aiuti? Sull'alzare più in alto i muri? O questi costi sarebbero più utili se dedicati a politiche di accoglienza? Dov'è quell'esercito armato da cui dovremmo proteggerci?
4. Salvare i migranti in mare (quando ci riusciamo) è costoso per noi e per loro, e traumatizzante per noi e per loro. Prevenire significa farli partire in sicurezza con mezzi ordinari, il che elimina anche il traffico illegale.
5. Oltre ai morti ci sono i superstiti, traumatizzati e ritraumatizzati. Chi si occupa di psicopatologia delle migrazioni sa che questo renderà la loro vita più difficile, peggiorerà le possibilità di integrazione nel nostro paese e aumenterà anche i nostri costi, perché resteranno più a lungo a carico di programmi di assistenza, ritardando l'autonomizzazione.
6. Infine la Bossi-Fini e i CIE. Non sono certo la causa di queste tragedie, che dipendono dalle nostre politiche più generali. Però sono inumane e indegne di un paese civile (e questo già dovrebbe bastare se fossimo più consci che l'alto livello di civiltà e rispetto dei diritti umani è il valore più prezioso della nostra società, che dovremmo trasmettere anche a chi arriva), e inoltre producono effetti controproducenti. Chi è clandestino se è vittima di un abuso, di un reato, etc. non lo può denunciare perché sennò si autodenuncia. In questo modo si spinge chi sta in quella condizione verso una progressiva emarginazione e lo si espone a sfruttamenti, abusi, etc. Non credo fossero questi gli obiettivi che si volevano raggiungere. Chi esce dai CIE (una pena così lunga senza aver commesso reati sembra la fantasia di uno sceneggiatore di film di fantascienza, non ci si riesce quasi a capacitare che lo stiamo facendo davvero!) rischia di esser perso! E' veramente difficile pensare che queste persone, dopo esperienze così, possano ancora trovare le risorse per riprendere un percorso di integrazione e crescita sociale.

E le proposte?
1. Annullare la Bossi-Fini, ridurre il tempo di permanenza nei CIE e appena possibile chiuderli, sono atti di civiltà che hanno una giustificazione in sé, non c'è bisogno di dimostrare effetti pratici. Comunque anche questi ci sarebbero, e migliorativi, si aiuterebbero queste persone a uscire da un quadro di emarginazione per rientrare in modo più positivo nelle dinamiche sociali.
2. "Rafforzare" le frontiere è inutile oltreché inumano. Aumenteremmo i guadagni delle organizzazioni criminali che portano i migranti da noi, e gli sfortunati che rimarrebbero dall'altra parte sarebbero esposti a rischi e difficoltà enormi. Tunisia e Marocco sono paesi un po' più stabili dei paesi confinanti. Cosa ci impedisce di organizzare là le commissioni che valutano i richiedenti asilo (anziché aspettare che arrivino in Italia per poter fare la domanda)? A coloro a cui verrebbe riconosciuto il diritto d'asilo si potrebbe consentire l'acquisto di un biglietto per raggiungere la destinazione, senza rischi. Non varrebbe per tutti, ma già una bella fetta sarebbe tutelata. Se poi i paesi europei si mettessero d'accordo per distribuire i rifugiati equamente, anche l'accoglienza sarebbe più agevole e meno soggetta a piani emergenziali.
3. Favorire l'arrivo dei migranti economici, facilitando le procedure e consentendo che le possano attivare già dal paese in cui si trovano. Nella psicopatologia delle migrazioni il progetto migratorio è un elemento centrale. Chi parte deve sborsare una cifra enorme per un viaggio pericoloso e senza possibilità di ritorno. Quando arriva non può fallire. Ma siccome siamo fallibili, ecco che il non riuscire a integrarsi, a trovare lavoro, a mandare soldi a casa, etc. diventano motivi di frustrazione, sofferenza psicopatologica e a volte terreno fertile per il reclutamento in gruppi antisociali. Immagina se uno potesse mettersi d'accordo con un'azienda per un'esperienza di lavoro a tempo determinato, trovare già prima della partenza qualcuno che lo ospita, comprare a prezzi normali un biglietto di andata e ritorno. Se poi le cose vanno bene può trovare altro e stabilirsi nel nuovo paese, ma se non è soddisfatto (e vi assicuro che spesso è così che i migranti vivono la loro condizione) non si trova ormai ingabbiato, può tornare indietro e magari riproggettare una nuova esperienza. Qualcuno obietterà "così entrano tutti e poi scappano e ci riempiamo di gente". E' un'obiezione che ci può stare, però è testabile: proviamo a dare questa possibilità a un numero limitato di persone provenienti da un paese con cui abbiamo relazioni bilaterali buone, in modo che non ci siano problemi per eventuali rimpatri. Proviamo e vediamo che succede, se andrà bene sarà un'indicazione utile, se invece andrà male il "danno" sarà circoscritto a un numero limitato di persone.
4. Ultimo, rivedere il trattato di Dublino. Sarà difficile perché i paesi ricchi si opporranno, però è necessario. Chi emigra vuole andare dove c'è lavoro o dove sono i suoi familiari e amici. Imprigionarli in Italia o in Grecia solo perché lì hanno messo il primo piede in Europa non ha senso, significa creare una generazione di disadattati e insoddisfatti che periodicamente provano ad andare in altri paese dell'Europa, dove però tornano in clandestinità, e da dove spesso ci tornano indietro con tutto il loro carico di frustrazione e risentimento.

Insomma, proviamo a regolare meglio possibile il fenomeno migratorio, ma in modo da non venir mai meno ai nostri ideali di civiltà e di rispetto, sapendo che questi fenomeni si possono gestire solo se non andiamo contro ciò che gli esseri umani sentono, vogliono, sperano, etc.

L'ennesimo naufragio di migranti nel Mediterraneo: LE NOSTRE COLPE



1945: si è appena conclusa la seconda Guerra mondiale. In Germani è tutto una rovina, non solo rovine materiali ma anche morali. I tedeschi si risvegliano da un sogno: Come è stato possibile? Perché non abbiamo compreso l’aberrazione in cui ci aveva condotto il regime nazista? Gli alleati dicono che siamo colpevoli. Lo siamo? Alcuni cercarono di giustificarsi avanzando scuse. Altri rimadarono al mittente le accuse proiettando le loro colpe su altri. Il filosofo Karl Jaspers decise che doveva affrontare a viso aperto questo problema e tenne un ciclo di lezioni dedicato specificamente alla questione della colpa della Germania. Secondo Jaspers farlo era fondamentale, a suo avviso egli era, in quanto tedesco (ancorché oppositore del regime nazista), “obbligato senza eccezioni a comprendere chiaramente la questione della nostra colpa, e a tirarne le conclusioni. Ciò che ci obbliga è la nostra dignità di esseri umani […] Il modo in cui risponderemo sarà decisivo per il nostro modo di riferirci al mondo e a noi stessi. E’ una questione vitale” (Jaspers, 1947/2001, p.22).

Ottobre 2013: Più di 130 immigrati africani muoiono in un naufragio davanti all’isola di Lampedusa, i disperse sono tantissimi e ci sono poche speranze di ritrovare qualcuno vivo. Il mondo improvvisamente sembra svegliarsi: Come è stata possibile una simile tragedia? Chi ne è il responsabile? Come italiani, come europei, come cittadini occidentali, dobbiamo sentirci in colpa? Nelle prime dichiarazioni alcuni vogliono scaricare le colpe sull’Europa che non ci aiuta abbastanza. L’Europa risponde facendoci notare quanti soldi ci invia per gestire il problema. Altri dichiarano che dobbiamo rafforzare il controllo in mare e rinforzare la collaborazione con i paesi nordafricani perché impediscano le partenze (nulla da dire su come i migranti vengono trattati in quei paesi? Nulla da dire su abusi, torture e situazioni carcerarie indegne?). Alcuni spostano la questione della colpa ancora più in là: responsabili sono gli scafisti che lucrano sui disperati, sono i governi e i guerriglieri che costringono questa gente a scappare. In questo momento in Italia c’è una sola autorità morale che tutti riconosciamo, indipendentemente dall’essere religiosi o meno: papa Francesco. E’ lui che qualche tempo fa ha risvegliato le coscienze tuonando contro la “globalizzazione dell’indifferenza” (8 luglio 2013, proprio a Lampedusa). E’ lui che subito dichiara “la parola che mi viene in mente è “vergogna”. […] Uniamo le forze perché tragedie simili non accadano più”. Non sono le solite parole di circostanza. Quello che, credo, papa Francesco ci sta dicendo è che dobbiamo sentirci personalmente coinvolti, siamo noi, è il mondo che deve vergognarsi per il disastro di Lampedusa.

Dunque la stessa questione, oggi come nella Germania post-bellica: Siamo colpevoli? Dobbiamo sentirci in colpa? Dobbiamo riconoscere la nostra colpa?

Torniamo a Jaspers. Se confrontiamo le dichiarazioni di oggi con le reazioni dei tedeschi di allora troviamo una forte somiglianza. Non sono io in colpa, qualcun altro lo è. I criminali che lucrano su esseri umani sono i colpevoli, non noi buoni cittadini rispettosi delle leggi. Jaspers ha chiaramente mostrato che non è possibile fare passi avanti se non si affronta la questione della colpa, ovvero se non ci si assume la responsabilità in prima persona. Allo stesso modo, non potremo evitare nuove tragedie e proporre soluzioni se non comprenderemo quali siano il nostro ruolo e le nostre responsabilità. Lo sapevamo tutti che la gente moriva nel Mediterraneo (l’ultima tragedia, 15 morti, era successa il giorno prima). Tutti noi sappiamo che i migranti sono costretti a viaggiare in condizioni così rischiose perché le nostre leggi sull’immigrazione non gli danno alternativa. Sappiamo che molti di questi migranti hanno buone possibilità di essere riconosciuti come rifugiati, il che ci obbliga a dargli accoglienza. Ma se sappiamo tutto ciò, siamo colpevoli per ciò che è accaduto?

Jaspers rispose che i tedeschi erano colpevoli, ma che era importante differenziare i tipi di colpa, perché non tutti erano colpevoli allo stesso modo. Comprendere di quale colpa si era responsabili era l’unico modo per assumersi la responsabilità e iniziare quel processo di autotrasformazione che potesse riaprire una possibilità per il proprio futuro. La gran parte dei tedeschi lo fece.
Anche noi dobbiamo farlo, ne abbiamo bisogno. Dobbiamo comprendere quali sono le nostre responsabilità per poter cambiare le cose. Dobbiamo fare una diagnosi chiara se vogliamo trovare la giusta terapia.
Jaspers distinse quattro tipi di colpa. La “colpa criminale” non è la colpa che ci riguarda; è la colpa dei trafficanti che lucrano su questi viaggi. Per loro ci sono le leggi che li puniscono. La nostra colpa è di altra natura; in termini jaspersiani, la nostra è sia “colpa politica” che “colpa metafisica”.
La colpa politica si riferisce al fatto che “devo assumermi le conseguenze delle azioni dello stato che mi governa e nel quale vivo. Ognuno [nelle democrazie occidentali] è co-responsabile del modo in cui è governato” (Jaspers, 1947/2001, p.25). Come cittadini europei noi siamo colpevoli perché le nostre leggi sull’immigrazione obbligano i migranti a tentare di entrare in Europa con mezzi così rischiosi. E’ tragicamente banale affermare che se le nostre leggi gli consentissero di comprare un regolare biglietto navale o aereo, queste tragedie non accadrebbero.
La colpa metafisica è definita così: “Esiste una solidarietà tra gli uomini in quanto esseri umani che ci rende co-responsabili per ogni cosa che non va e per le ingiustizie del mondo, specialmente per i crimini commessi in nostra presenza o di cui siamo a conoscenza. Se non faccio tutto ciò che è in mio potere per prevenirli, sono colpevole anch’io” (Jaspers, 1947/2001, p.26).
Tutti sapevamo che persone come noi trovavano la morte nel Mediterraneo. Dovremmo essere consapevoli che l’immigrazione è un processo che per sua natura non si può fermare, ma solo (e parzialmente) governare. Dobbiamo sapere e dire con chiarezza che pagare i governi del Maghreb per fermare l’immigrazione è un atto ipocrita; è solo un modo per delegare a loro le nostre responsabilità, la nostra responsabilità politica e metafisica.
Dobbiamo fare tutto ciò che possiamo, ognuno di noi al proprio livello di responsabilità, per avere una visione chiara del problema, in modo da poter cambiare con consapevolezza le leggi europee che regolano l’accoglienza dei migranti e dei rifugiati. Altrimenti tra qualche giorno, passato l’effetto mediatico, cominceremo a pensare ad altro, facendo finta di non sapere e di non doverci sentire responsabili, in attesa della prossima tragedia annunciata.

Bibliografia
Jaspers K. (1947/2001) The question of German guilt. Fordham University Press, New York.

 

 


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